A. Berretta, A. Buffelli, G. Serio
PERDERSI (S. Randall)
Perdersi,
nel buio della notte,
lo sguardo
perso verso
le stelle,
un sogno,
il mio sogno è
lì che aspetta me,
sorrido, ecco
nulla lo porta via
lui è lì che aspetta
me, puntuale
come sempre,
è lui che mi tiene compagnia
nelle notti silenziose
della mia solitudine.
Nel periodo Romantico si era soliti rappresentare la notte come momento di meditazione spirituale. Questo dipinto offre una lettura religiosa alludendo alla luce di Cristo che illumina l’umanità attraverso immagini simboliche per rimandare a concetti religiosi e non: quercia sradicata rimanda al passato pagano, mentre l’albero coperto di foglie che protegge la coppia di spalle è il presente cristiano che si snoda nella continua lotta tra vita e morte.
Sotto ad un cielo notturno l’autore descrive la solitudine del singolo – rappresentata attraverso i personaggi visti di schiena e con dimensioni ridotte – perso nell'infinita natura che è la vera protagonista del dipinto che funge da cornice eterea ai due personaggi simbolo dell’umanità intera al cospetto di questo grande spettacolo. Il paesaggio, gli alberi e i due personaggi sono in controluce e dipinti con toni scurissimi in contrasto con la luna, unico chiarore nel cielo indaco. Le curve dei vari pendii della montagna creano un‘idea di profondità che viene appiattita dall'effetto controluce. Lo spazio che l’artista crea nei suoi dipinti rappresenta un dialogo fisico e formale tra la natura e l’uomo come nel Viandante sul mare di nebbia. Tale spazio si contraddistingue da una leggera asimmetria centrale creata dalle curve contrarie dei pendii e sottolineata dalle due grandi masse di alberi che costituiscono pesi visivi che muovono la scena.
Mentre era a Saint-Rémy nel maggio del 1890, Van Gogh dipinse, memore del suo celeberrimo capolavoro “Notte stellata”, un altro straordinario paesaggio, dominato da un cipresso cupo su un cielo notturno in cui si stagliano una grande stella e da una pallida e magra luna: è il “Cipresso su un cielo stellato”, un olio su tela conservato oggi al Rijksmuseum Kröller-Müller di Otterlo.
Lo stesso artista volle descrivere questa tela in una missiva a un suo caro amico: «Un cipresso con una stella, un’ultima prova, un cielo notturno con una luna che non emana luce, nient’altro che una piccola mezza luna che sorge dall'ombra scura della terra, una stella esageratamente luminosa, un barlume di rosa pallido e di verde nel cielo blu oltremare percorso da nubi. In basso una strada fiancheggiata da alte canne gialle che si stagliano contro il blu chiaro delle Alpilles; un vecchio casolare con le finestre illuminate arancione e un altissimo cipresso molto diritto e molto cupo. Sulla strada una carretta gialla tirata da un cavallo bianco e in fine due persone che camminano.» (V. Van Gogh, Lettera a G. da Auvers)
I due viandanti e il cocchiere sono senza volto, come un dettaglio di poco valore in un intrigante complesso di effetti chiaroscurali, eppure dirigendosi verso lo spettatore sembrano includerlo in questo gioco di pennellate che, creando un’atmosfera quasi magica, dà l’idea di un viaggio interminabile, ignoto, insicuro, ma al contempo necessario e inevitabilmente dinamico: è l’immagine minuziosamente dipinta del cavallo che incede deciso anche se inconsapevole della propria meta.
Così infatti scrive Susan Randall circa il viaggio:
« Tutte le strade portano
da qualche parte,
ed a volte siamo noi che percorriamo
strade sbagliate,
ma va bene così,
perché la vita è questa,
sbagliare per imparare,
e prima o poi si troverà la strada giusta,
quella che darà un senso
ad ogni nostra strada percorsa
e chissà forse trovare
anche la strada che
va verso la felicità. »
(S. Randall, “Tutte le strade”)
NELLE PIEGHE DEL TEMPO (S. Randall)
Nelle pieghe del tempo
perdo il senso del tempo
stesso
e, mentre guardo
l'orizzonte
mi perdo nelle pieghe
del tempo,
un tempo che fu,
un tempo che disse,
un tempo che sussurrò,
sogni infiniti nel tempo che fu.
Adesso, nulla è.
Se non un orizzonte
di infiniti sogni,
persi nelle
pieghe del tempo.
Il dipinto presenta un paesaggio piuttosto cupo: degli scogli, il mare e un cielo dai colori scuri. Su questi scogli siedono tre persone di spalle (elemento molto ricorrente nelle opere di Friedrich) che guardano dritto dinanzi a loro verso il mare in cui sono presenti due velieri; in lontananza vi è la luna che sta per sorgere. I colori sono quasi spenti: prevalgono il grigio, il marrone, il nero e il violetto delle montagne. Uniti a una parte illuminata quella della luna bianca che tinge il cielo di rosa e arancione.
Le tre figure osservano degli spazi illimitati e questa è una concezione fortemente legata alla corrente romantica che si può esprimere con il termine tedesco “Sensucht”, ossia tensione verso qualcosa di irraggiungibile. Secondo l’artista il mare e la natura sono due elementi che l’uomo non smette mai di contemplare e con i quali cerca un’unione così mare, cielo e scogli si fondono diventando un tutt'uno. I critici hanno interpretato tale quadro come una meditazione allegorica sulla morte e sul destino dell’uomo, dovuto anche alle vele delle navi leggermente abbassate che starebbero a indicare una seconda navigazione che guida l’uomo da una vita terrena a una spirituale. La luna che prevale quasi sull'oscurità simboleggia la luce e dunque rappresenta Dio; le tre figure piuttosto piccole potrebbero rappresentare le tre virtù teologali fede, speranza e carità e questo potrebbe indicare la fragilità dell’uomo dinanzi alla morte e al non essere in grado di capire i misteri dell’eternità.