L’arte totalitaria

Percorso all’interno dello scenario europeo e mondiale

M. Besuschio, R. Ferrassa, C. Moccia, S. Muolo


VI SPIEGO ALCUNE COSE  (P. Neruda)

Chiederete: ma dove sono i lillà? 


E la metafisica coperta di papaveri? 


E la pioggia che fitta colpiva 


Le sue parole, riempiendole


Di buchi e uccelli?


Vi racconterò tutto quel che m’accade.


Vivevo in un quartiere


Di Madrid, con campane,


Orologi, alberi.


Da lì si vedeva


Il volto secco della Castiglia,


Come un oceano di cuoio.


La mia casa la chiamavano


“La casa dei fiori”, ché da ogni parte


Conflagravan gerani: era


Una bella casa,


Con cani e scugnizzi.


Ti ricordi, Raúl?


Ti ricordi, Rafael?


Federico, ti ricordi,


Ora che sei sottoterra,


Ti ricordi della mia casa balconata, dove


La luce di giugno ti soffocava la bocca di fiori?


Fratello, fratello!


Tutto


Era gran voci, sale di mercanzie,


Mucchi di pane palpitante,


Mercati del mio rione di Argüelles, con la sua statua


Come una seppia pallida tra i merluzzi:


L’olio era versato nel cucchiaio,


Un profondo brusìo


Di mani e piedi riempiva le strade,


Metri, litri, acuta


Essenza della vita,


Pesci accatastati,


Intreccio di tetti nel freddo sole, dove


La freccia s’affatica,


Fino avorio delirante delle patate,


Pomodori in fila, in fila fino al mare.


 

 

 

E una mattina tutto era in fiamme,


E una mattina i roghi


Uscivan dalla terra,


Divorando esseri,


E da allora fuoco,


Da allora polvere da sparo,


Da allora sangue.


Banditi con aerei e con mori,


Banditi con anelli e duchesse,


Banditi con neri frati benedicenti


Arrivavan dal cielo a uccidere bambini,


E per le strade il sangue dei bambini


Correva semplicemente, come sangue di bambini.


Sciacalli che lo sciacallo schiferebbe,


Sassi che il cardo secco sputerebbe dopo morsi,


Vipere che le vipere odierebbero!


Davanti a voi ho visto


Sollevarsi il sangue della Spagna


Per annegarvi in una sola onda


Di orgoglio e di coltelli!
 Generali


Traditori:


Guardate la mia casa morta,


Guardata la Spagna spezzata:


Però da ogni casa morta esce metallo ardente


Invece di fiori,


Da ogni foro della Spagna


La Spagna viene fuori,


Da ogni bambino morto vien fuori un fucile con occhi,


Da ogni crimine nascono proiettili


Che un giorno troveranno il bersaglio


Del vostro cuore.


Chiederete: perché la tua poesia


Non ci parla del sogno, delle foglie,


Dei grandi vulcani del paese dove sei nato?


Venite a vedere il sangue per le strade,


Venite a vedere


Il sangue per le strade,


Venite a vedere il sangue


Per le strade!


La poesia “Explico algunas cosas” (“Spiego alcune cose”) è tratta da una raccolta redatta nell’anno 1937, Espana en el corazon: questo testo infatti è dedicato alla Spagna, nazione che divenne carissima a Neruda dopo il periodo in cui visse, che vuole celebrare, se non anche proteggere, denunciandone i delitti ed i torti che stava subendo a causa della guerra. Nato a Parral, Neruda trascorre la sua vita girovagando per il mondo e tra i suoi viaggi c’è appunto la “tappa” nel 1934 in quella nazione che gli ruberà il cuore e gli lascerà l’anima incantata, dopo esser passato per l’Indonesia, la Cina e il Giappone. Dopo la morte per fucilazione dell’amico e autore Garcia Lorca, Neruda diviene portavoce della lotta alle ingiustizie, si mette in prima fila per una estenuante lotta politica e sociale con la volontà di dar voce alla sua rabbia.

 


La poesia parla in particolare di Madrid, dove visse il poeta e dove il popolo è protagonista, città ora disonorata dai bombardamenti che la colpiscono dall’alto, cambiandone i connotati: una città caotica, ma proprio per questo molto calorosa, di cui tramite i versi di Neruda si percepiscono gli odori, si vedono le facciate, si ammirano i volti della sua gente; la sua casa, chiamata "Casa dei fiori", è simbolo della pace, della concordia, del germoglio colorato e sublime della vita umana. Il poeta parla direttamente a tre uomini (Federico potrebbe essere proprio il riferimento all’amico morto in Spagna) e pone loro una domanda, cioè se ricordano la sua casa ora che non possono più vederla, uccisi dalla crudeltà della guerra.

 

”E una mattina” apre la strofa creando un repentino distacco con la tranquillità dell’elencazione descrittiva fatta nei versi precedenti: ora la visione cambia, da questo momento la città dei lillà e dei papaveri prende l’immagine dei roghi e del sangue. Anche l’innocenza dei bambini viene sporcata macchiando le strade della città.

 

Nella strofa successiva il poeta apostrofa questi uomini traditori che hanno provocato tale scempio come il male peggiore che anche il Male stesso scaccerebbe e sono destinati a morire nella loro stessa superbia. Egli li esorta a guardare con i propri occhi la distruzione che hanno portato: come i fiori che incorniciavano la sua casa sono ormai persi per sempre, così da questo orrore non potrà arrivare altro se non devastazione. Sarà la Spagna stessa a cambiare, ad adattarsi alle nuove condizioni, come per Darwin il più forte è colui che sa adattarsi meglio.

 

La poesia quindi, contagiata dal dolore e dalla miseria della guerra, straziata dalla meccanica bestialità dell’essere umano sceso a compromessi con i suoi desideri egoistici, non ci parlerà più della bellezza, della fantasia e dei fiori primaverili: è ormai intrappolata nel sangue delle strade, che sporca le scarpe, i volti, l’animo.

 

L'abbraccio delle idee comuniste e di solidarietà civile trovò ulteriore humus per Neruda anche nella repulsione che provava nei confronti dei soprusi compiuti dai fascisti di Francisco Franco durante gli anni della guerra civile spagnola. La sua "svolta a sinistra" fu ancora più decisa dopo la barbara uccisione, da parte delle forze del generale Franco, di Federico García Lorca, di cui era divenuto amico: l'appoggio di Neruda al fronte repubblicano, che si opponeva all'allora nascente dittatura franchista, fu totale sia nei discorsi che negli scritti, come, ad esempio, la raccolta di poesie “España en el corazón”.


Il totalitarismo in Spagna e la dittatura di Francisco Franco

Immagine propagandistica della falange
Immagine propagandistica della falange

Francisco Paulino Franco (Ferrol, 4 dicembre 1892 – Madrid, 20 novembre 1975), conosciuto anche come il Generalísimo de los Ejércitos o il Caudillo de España, è stato un generale, politico e dittatore spagnolo. Fu l'instauratore, in Spagna, di un regime dittatoriale noto come falangismo o franchismo, parzialmente ispirato al fascismo. Rimase al potere dalla vittoria nella guerra civile spagnola del 1939 fino alla sua morte nel 1975.

 

Di ispirazione conservatrice e monarchica, si oppose strenuamente all'abolizione della monarchia e alla proclamazione della Seconda Repubblica Spagnola nel 1931. Nel 1936, in seguito alle elezioni generali, in cui il Fronte Nazionale Controrivoluzionario perse con un ristretto margine di voti, salì al potere il Fronte Popolare, una coalizione di partiti di sinistra. Intenzionato a rovesciare l'ordine repubblicano, Franco mise in atto con altri generali un colpo di Stato nel luglio seguente, che portò alla sanguinosa guerra civile spagnola.

 

Tra il 12 luglio e il 13 luglio 1936 ci furono il sequestro e l'uccisione del leader dell'opposizione monarchica José Calvo Sotelo e il tentativo di uccidere Gil-Robles, leader dei democristiani di destra, messa in atto da alcuni ufficiali di polizia di simpatie socialiste come ritorsione per l'omicidio dell'ufficiale di polizia José Castillo, simpatizzante socialista e membro di un'organizzazione antifascista per militari. L'insurrezione partì dalla sollevazione delle truppe di istanza nel Marocco spagnolo. I nazionalisti speravano di ottenere rapidamente il controllo della capitale Madrid e delle principali città spagnole.

 

Immagine propagandistica della falange
Immagine propagandistica della falange

Nel 1939 la guerra terminò con la vittoria dei nazionalisti, e Franco instaurò una dittatura militare, proclamandosi Capo di Stato con il titolo di Caudillo. La Falange, fondata dallo stesso Franco nel 1937, divenne l'unico partito autorizzato con la messa al bando di tutti gli altri movimenti politici.

 

La dittatura franchista fu caratterizzata da un'ingente repressione degli oppositori politici, con 400.000 vittime stimate e l'uso sistematico di lavori forzati, esecuzioni e campi di concentramento. In politica estera promosse la neutralità della Spagna nella seconda guerra mondiale, seppur supportando indirettamente le forze dell'Asse. Dopo la guerra, la Spagna franchista si isolò per oltre un decennio, salvo poi aprirsi diplomaticamente nella seconda metà degli anni cinquanta. Durante la Guerra Fredda, Franco fu uno dei più strenui oppositori del comunismo, ricevendo il supporto dai Paesi aderenti alla NATO pur senza entrare a farne parte.

 

Poco prima della sua morte, avvenuta nel 1975, nominò Juan Carlos I di Borbone suo successore alla guida del Paese con il compito di riportare l'ordine democratico. In seguito al referendum sulla ratifica della Costituzione spagnola, si avviò il processo che portò la Spagna a essere una monarchia parlamentare.

 


Guernica (P. Picasso)

Olio su tela, giugno 1937. Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (Spagna)
Olio su tela, giugno 1937. Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (Spagna)
Pablo Picasso
Pablo Picasso

Il bombardamento di Guernica fu un'incursione aerea - compiuta dalla Legione Condor con il supporto dell'Aviazione Legionaria durante la guerra civile spagnola - che colpì duramente l'omonima città basca il 26 aprile 1937. La Legione Condor tedesca e l'Aviazione Legionaria italiana dichiararono ufficialmente di aver avuto come obiettivo dell'attacco il ponte di Rentería, sul fiume Oca, per appoggiare gli sforzi bellici dei nazionalisti franchisti nell'offensiva in corso nella Biscaglia per rovesciare le sacche fedeli al governo della Repubblica Spagnola, bombe che il forte vento deviò sulla città (l'azione, in realtà, fu intenzionale). La città venne devastata, anche se miracolosamente l'Assemblea Basca e il Gernikako Arbola (albero secolare) sopravvissero. Questo primo bombardamento su popolazione civile scioccò numerosi artisti e venne immortalato nel famoso quadro di Pablo Picasso, che della città prende appunto il nome e che fu realizzato su commissione del governo della Repubblica socialista in piena guerra civile contro i nazionalisti.

 

L'ispirazione per l'opera fu improvvisa dopo tali fatti. Picasso compose il grande quadro in soli due mesi e lo presentò in giugno nel padiglione spagnolo dell'Esposizione universale di Parigi. Guernica fece poi il giro del mondo riscuotendo molto successo e permise di far conoscere la storia del conflitto fratricida che si stava consumando nel Paese iberico.

 

L'ordine con cui deve essere letta l'opera d'arte è da destra a sinistra, poiché il lato destro era vicino all'entrata del luogo per cui è stata progettata, cioè il padiglione della Repubblica Spagnola all'Esposizione Universale di Parigi. È un dipinto di protesta contro la violenza, la distruzione e la guerra in generale. La presenza della madre con il neonato in braccio, di un cavallo che somiglia a un asino, simbolo dell'irrompere della brutalità, e di un toro, simbolo del sacrificio nella corrida, ricorda la composizione del presepe natalizio, che risulta però sconvolto dal bombardamento. La lampada a olio in mano ad una donna, posta al centro dell'opera, indica l'involuzione tecnologica e sociale che ogni guerra, insieme alla distruzione, porta con sé; la colomba a sinistra, richiamo alla pace, ha un moto di strazio prima di cadere a terra; il toro rappresenta la Spagna, mentre il cavallo simboleggia la follia della guerra.

 

La violenza, lo stupore, l'angoscia e la sofferenza sono deducibili esplicitamente guardando, sulla sinistra dell'opera, la madre che grida al cielo disperata, con in grembo il figlio ormai senza vita; è da contrapporre ad essa l'altra figura apparentemente femminile a destra, che alza disperata le braccia al cielo. In basso nel dipinto c'è un cadavere che ha una stigma sulla mano sinistra come simbolo di innocenza, in contrasto con la crudeltà nazi-fascista, e che stringe nella mano destra una spada spezzata da cui sorge un pallido fiore, quasi a dare speranza per un futuro migliore. La gamma dei colori è limitata, vengono, infatti, utilizzati esclusivamente toni grigi, neri e bianchi, così da rappresentare l'assenza di vita e la drammaticità poiché, secondo Picasso, la guerra è sofferenza, ma nell'opera, se si guarda bene, c'è una lampadina che simboleggia la speranza. L'alto senso drammatico nasce dalla deformazione dei corpi, dalle linee che si tagliano vicendevolmente, dalle lingue aguzze che fanno pensare ad urli disperati e laceranti, dall'alternarsi di campi bianchi, grigi, neri, che accentuano la dinamica delle forme contorte e sottolineano l'assenza di vita a Guernica. Questa opera doveva rappresentare una sorta di manifesto che esponesse al mondo la crudeltà e l'ingiustizia delle guerre.


La Germania nazista

La Germania Nazionalsocialista (o Nazista) o Terzo Reich sono le definizioni con cui comunemente ci si riferisce alla Germania tra il 1933 e il 1945, quando si trovò sotto il regime totalitario del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori guidato da Adolf Hitler col titolo di Führer. Il termine "Terzo Reich" intendeva connotare la Germania nazista come il successore storico del medievale Sacro Romano Impero. Il 30 gennaio 1933 Hitler venne nominato cancelliere del Reich e – nonostante inizialmente si trovasse a capo di un governo di coalizione – si liberò velocemente dei partiti alleati, per poi nel giro di un anno accentrare nel governo e nella sua persona sia il potere esecutivo sia quello legislativo; Hitler pose le basi per quel governo totalitario di estrema destra dalle forti connotazioni nazionalistiche, militaristiche, antisemite e fortemente aggressivo in politica estera. I nazisti perseguitarono e assassinarono milioni di ebrei e di appartenenti ad altre minoranze etniche, in particolare popolazioni zingare e slave, commettendo il genocidio noto come Olocausto, perseguito, per quanto riguarda gli ebrei, secondo il programma delineato nella cosiddetta "soluzione finale della questione ebraica", che in ultimo assunse i connotati di un vero e proprio sterminio di massa. Furono inoltre perseguitati e spesso uccisi diversi esponenti antinazisti (perlopiù socialisti e comunisti) eseguendo condanne a morte con il Tribunale del Popolo, nonché Massoni, testimoni di Geova, rom e sinti, omosessuali e anche persone affette da malattie ereditarie e congenite gravi sia di tipo fisico sia mentale.

 

La propaganda utilizzata dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) usato in questi anni è stato uno strumento essenziale per acquisire e mantenere il potere, oltre che per l'attuazione delle politiche nazista. Joseph Goebbels, il Ministro della Propaganda del Terzo Reich, affermava con certezza: ”Nulla è più facile che portare la gente al guinzaglio. Mi basta sollevare un rutilante manifesto e loro ci saltano dentro”. La propaganda era caratterizzata dagli slogan, ripetuti costantemente dalla radio, televisione, stampa, manifesti, ma utilizzando anche forme di diffusione, quali la letteratura, il teatro, il cinema, le arti figurative. 


 

Le immagini erano molto importanti perché erano comprese in maniera più immediata rispetto ai testi, e memorizzate più facilmente. L'arte del manifesto (stampato) fu uno degli elementi della propaganda nazista, mirata sia alla Germania che ai territori occupati da essa. Essi ebbero diversi vantaggi: l'effetto visivo avrebbe potuto raggiungere facilmente lo spettatore. I manifesti furono anche, a differenza di altre forme di propaganda, difficili da evitare. Le immagini spesso attirarono un realismo eroico. I giovani nazisti e il corpo delle SS furono raffigurati monumentalmente, con l'illuminazione utilizzata per produrre una sensazione di grandezza. I manifesti, secondo le intenzioni, dovevano educare e unificare il popolo tedesco prima e soprattutto durante la guerra. I manifesti furono collocati ovunque vi fosse un denso flusso di traffico. Lo stile visivo dei manifesti era un testo in grassetto influenzato da una colorazione vivace, destinato a catturare l'attenzione dei passanti tedeschi. Il testo era grande in modo che molte persone lo potessero leggere allo stesso tempo e da una distanza di qualche metro. Gli ebrei furono raffigurati come nemici a causa della loro supposta guerra economica, del capitalismo e della loro connessione alla rivoluzione russa. Il regime nazista favorì l'idea che gli ebrei fossero i promotori di tutte le forze politiche di opposizione. Ebrei e comunisti venivano indicati dai nazisti come la causa di tutti i mali della Germania.
 Le immagini spesso mostravano una figura ebraica posizionata da dietro, o da sopra, in qualità di simboli di influenza economica e politica.


 

L’ebreo errante

Questo manifesto è stato realizzato per pubblicizzare «L’ebreo errante» (in tedesco Der ewige Jude), un film di propaganda antisemitico della Germania nazista realizzato nel 1940, presentato come un documentario. 
Il titolo rimanda alla figura della mitologia cristiana medievale dell'ebreo errante, che rappresenta metaforicamente la diaspora del popolo ebraico. La scritta è resa con caratteri che imitano l’alfabeto ebraico. 
I colori prevalenti sul manifesto sono il giallo e il nero, un abbinamento dal valore fortemente simbolico, ancora oggi usato nella segnaletica che indica pericolo: il giallo e il nero sono infatti due colori che in natura si trovano su animali velenosi come le vespe e le api.

Il personaggio del manifesto, rappresentato come un vecchio dall’aspetto sgradevole, reca con sé due simboli eloquenti: delle monete in una mano (gli ebrei venivano rappresentati come un popolo avido di denaro) e sotto il braccio quella che veniva presentata come la sua vera terra d’origine: la Russia comunista, marchiata con il simbolo della falce e martello.



«Bambini, cosa sapete del Fürer?»

La copertina di questo libro, obbligatorio nelle scuole elementari tedesche durante il Nazismo, mostra Hitler in atteggiamento affettuoso e sorridente accanto a dei bambini.
 Anche per il Nazismo era importante indottrinare la popolazione fin dalla più tenera età.


 

Copertina del libro per bambini DER GIFTPILZ, «Il fungo velenoso», pubblicato nel 1935 a Norimberga, in Germania. Il fungo velenoso è forse l’esempio più significativo di pubblicazione per l’infanzia a scopo propagandistico. 
La sua carrellata di accuse agli ebrei è una vera e propria antologia dei pregiudizi e dei luoghi comuni più diffusi: dall’avidità alla sordida cupidigia, fino alla storica colpa di deicidio.
 Per diffonderli, il libro usa ampiamente il potere evocativo delle immagini, molto più dirette rispetto alla parola scritta, specialmente nei confronti di destinatari bambini. I destinatari di questi messaggi venivano tenuti accuratamente all’oscuro delle informazioni non conformi ai contenuti propagandati. A tale scopo, nei Paesi governati da regimi totalitari, la propaganda è organizzata a livello statale, ed è istituito un apposito Ministero che se ne occupa.


1941 – Il piano quadriennale di Hitler

Questo manifesto di propaganda nazista del 1941 è una 
celebrazione e un ricordo del piano quadriennale varato da Hitler nel 1936 e affidato al ministro Hermann Goering. 


Il nuovo e ambizioso programma proposto da Hitler prevedeva un piano economico basato sul potenziamento dell’industria bellica e sul raggiungimento dell’autosufficienza in tutti gli altri settori.
 Da un punto di vista grafico, l’immagine si basa su uno schema formato da linee diagonali che si intersecano, creando un effetto di dinamismo, ma anche, allo stesso tempo, di equilibrio visivo. Le diagonali più evidenti sono quelle formate dagli aerei in volo e dai cannoni puntati, che danno una forte impressione di movimento in avanti: un’impressione che si sposa benissimo con l’intento del manifesto, che è quella di infondere in chi lo guarda un senso di esaltazione, di fiducia nel progresso e nella forza della propria nazione.
 In senso opposto abbiamo le diagonali formate dai colori dello sfondo (che non a caso sono gli stessi della bandiera tedesca), rafforzate dalle nuvole e dal fumo che esce dalle ciminiere delle fabbriche.

Queste altre diagonali creano con le precedenti un equilibrio compositivo che dà all’immagine un senso generale di stabilità. Il testo che compare nel manifesto “Der Vierahresplan” (“Il piano quadriennale”) è allo stesso tempo titolo e slogan. 
I caratteri usati sono quelli gotici e, assieme ai colori dell’immagine, suggeriscono un forte sentimento di nazionalismo e appartenenza alla Nazione tedesca.

 



L’arte degenerata

“Arte degenerata” è un termine che nel contesto della Germania del regime nazista indicava quelle forme d'arte che riflettevano valori o estetiche contrarie alle concezioni naziste, le quali si opponevano a molte forme di arte contemporanea, nell'intento di conservare i valori tipici della razza ariana e della sua tradizione culturale.

 

Il 19 luglio del 1937 si tenne a Berlino una singolare mostra d’arte, la mostra dell’arte degenerata (entartete Kunst). Tutto questo accadde in piena era nazista e Hitler, com'è noto alle cronache, aveva coltivato in gioventù il sogno di diventare un artista o un architetto e aveva tentato due volte, ma invano, di entrare all'Accademia di Belle Arti di Vienna. Quando divenne cancelliere si avvicinò quindi al giovane architetto Albert Speer, con cui sognava di trasformare Berlino in una celebrazione del vitalismo germanico e in un simbolo della grandeur che aveva sempre inseguito.


 

Il suo entusiasmo per qualunque forma d’arte che fosse funzionale a questo disegno trovava il suo naturale complemento nel disprezzo per l’arte poco enfatica, non tesa ad esaltare il mito della razza ariana, inclusa gran parte dell’arte contemporanea. Queste idee le aveva esposte nel Mein Kampf, e ribadite nel discorso tenuto nel ’35 al Congresso del Partito, nella sessione sulla cultura: «Ciò che si rivela “culto del primitivo” non è espressione di un’anima naïve, ma di un futuro completamente corrotto e malato. [...] Il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma di trasmettere benessere e bellezza». Benessere e bellezza, forza e salute, attaccamento alla terra, al lavoro e alle tradizioni germaniche erano i valori esaltati dalla Grosse Deutsche Kunstaustellung. Nelle sale dell’Istituto archeologico gli ambienti erano angusti e soffocanti, per accrescere il disagio dei visitatori costretti a urtarsi in continuazione. Il materiale era distribuito in sezioni dai titoli eloquenti («Manifestazioni dell’arte tedesca giudaica», «Invasione del bolscevismo», «Oltraggio agli eroi», «La donna tedesca messa in ridicolo»), diversi quadri erano appesi storti, o accostati a disegni e fotografie di malati di mente, e la maggior parte era accompagnata da un cartello che esibiva il prezzo pagato con il denaro del «popolo lavoratore tedesco» agli astuti mercanti ebrei: in modo da stimolare l’indignazione e la rabbia. Delle ventimila opere confiscate dai nazisti, almeno cinquemila andarono perdute. Ma la necessità di danaro per finanziare l’imminente guerra consigliò più pragmaticamente di vendere all'estero le opere scellerate. In un’asta organizzata il 30 giugno 1938 alla Galerie Fischer di Lucerna ne furono piazzate 85, per un ricavo pari a oltre 20 milioni di euro attuali.

 

L’arte aveva quindi il compito di raffigurare la potenza della Germania. Adolf Wissel con il suo dipinto Famiglia contadina a Kalemberg (1938) offre un’immagine idealizzata della famiglia rurale che il nazismo voleva imporre. L’opera esposta a Monaco, rappresenta questa famiglia umile riunita intorno al tavolo in un ambiente esterno. Partendo da destra si può trovare la nonna intenta a cucire a maglia; sul tavolo difronte a lei si trova una tazza da the. In primo piano si trova, poi, la madre che abbraccia la figlia più piccola seduta sul suo grembo. Il figlio ha lo sguardo puntato sullo spettatore mentre gioca con una sagoma di un cavallino. Il padre guarda la signora anziana che ricambia il suo sguardo mentre la figlia maggiore è intenta a disegnare, con il corpo ripiegato sul tavolo. Indossano abiti semplici, tipici della “gente di campagna”. Le espressioni sui loro volti sono tristi, simboleggiano la loro condizione misera. Sullo sfondo si apre un campo d’erba con qualche piccola pianta. A destra si intravede un pilastro in mattoni.

 


Il comunismo

Il comunismo è la dottrina che teorizza la necessità di porre fine alla proprietà privata dei mezzi di produzione e di introdurre la proprietà collettiva, al fine di costituire una società di eguali, liberata dai conflitti politici e sociali e dalle guerre tra gli Stati. Nel corso del Novecento, dopo la Rivoluzione russa nel 1917, i comunisti cercarono di espandere il loro potere in diversi paesi.

 

Vladimir Lenin (1870-1924), colui che avrebbe guidato in Russia la prima rivoluzione comunista della storia, sviluppò una propria versione del marxismo, che più tardi sarebbe stata chiamata ‘Marxismo-Leninismo’. I cambiamenti principali furono due: Lenin era convinto che il proletariato, da solo, non avrebbe mai guidato una rivoluzione spontaneamente. C’era bisogno di un’avanguardia in grado di guidarlo, composta da intellettuali radicali della classe media, esattamente come lo stesso Lenin. In questo modo il partito comunista avrebbe potuto educare le masse. Secondo Lenin, la rivoluzione comunista non sarebbe iniziata in un paese dove il capitalismo era ad uno stato avanzato come la Germania o la Gran Bretagna. In questi paesi, i lavoratori erano stati ‘placati’ dai sindacati, dalle riforme e dall'imperialismo. Il vero sfruttamento, quello di cui aveva parlato Marx, avveniva ormai nelle colonie dei paesi imperialisti, dove la forza lavoro e le materie prime erano più economiche, quindi la rivoluzione doveva iniziare in paesi economicamente più svantaggiati, come le colonie, o la stessa Russia.

 

Morto Lenin, salì al potere Stalin (1878-1953, un rivoluzionario, politico e militare sovietico) che portò l'intera economia nelle mani dello Stato, nel corso degli anni Trenta rafforzò il paese creando un forte apparato industriale. La proprietà privata era stata abolita, ma quella sovietica non era affatto una società di eguali, bensì un sistema dominato dal solo partito comunista e da Stalin, un dittatore che usò la violenza terroristica per imporre il suo potere assoluto. I più grandi successi di Stalin furono la vittoria contro la Germania nazista nella Seconda guerra mondiale (1941-45), l'ascesa dell'Unione Sovietica al rango di superpotenza e l'estensione del comunismo nell'Europa orientale. Lo Stalinismo si basava su tre punti principali:

  • Il materialismo dialettico diventava dottrina ufficiale dell’Unione Sovietica: un vero e proprio dogma, che giustificava qualunque politica voluta da Stalin, mentre la società sovietica stava diventando definitivamente totalitaria.
  • Culto della personalità basato su una scarsa fiducia nel Partito Comunista. C’era bisogno di un leader forte: Stalin, che veniva rappresentato come un genio in tutti i campi, ai limiti del sovrumano. Ovviamente, non c’era più posto per la democrazia interna, né per il centralismo democratico.
  • Il socialismo in un solo paese era una teoria politica secondo cui l’Unione Sovietica andava potenziata al massimo, sia industrialmente che militarmente. Soltanto in una fase successiva la rivoluzione sarebbe stata esportata in tutto il mondo.

L’arte totalitaria in Russia

Vera Mukhina, Operaio e contadina del collettivo agricolo, 1936, San Pietroburgo, Museo russo di Stato
Vera Mukhina, Operaio e contadina del collettivo agricolo, 1936, San Pietroburgo, Museo russo di Stato

L'operaio e la kolchoziana è una statua alta 24.5 metri in acciaio inossidabile eseguita da Vera Mukhina per l’Expo 1937 tenutosi a Parigi, e successivamente trasferita a Mosca. L'operaio tiene in alto un martello e la kolchoziana, ovvero la contadina del Kolchoz, una falce, ricreando il simbolo della falce e martello.

Tale statua, è stata realizzata come forma propagandistico-didascalica per educare le masse ed esaltare il “lavoro” sovietico. Questa tendenza rappresenta il REALISMO SOCIALISTA.

 

Jurij Pimenov, Industria pesante, 1927, olio su tela. 260 x 212 cm, Mosca, Galleria Tret’ iakov
Jurij Pimenov, Industria pesante, 1927, olio su tela. 260 x 212 cm, Mosca, Galleria Tret’ iakov

In questo periodo nelle città si sviluppano nuove tecnologie utilizzate dalle fabbriche. Nel dipinto vi sono degli operai che compiono uno sforzo corale per introdurre nel forno un attrezzo. In tale opera, il pittore cerca di esaltare la politica economica di Stalin tra realismo e forme artistiche più semplificate, per rappresentare la svolta totalitaria del leader che sceglie di coinvolgere il paese in un enorme sforzo di trasformazione economica.

 



Il percorso di astrazione

Wassily Kandinskij, “Giallo, rosso, blu”, 1925
Wassily Kandinskij, “Giallo, rosso, blu”, 1925

Il quadro, realizzato nel 1925 e conservato attualmente in Francia, è tra le opere più famose di Kandinskij. Già dal titolo si intuisce come il protagonista del quadro sia solo il colore, che qui viene impostato soprattutto sui tre primari. Kandinskij parte dall’accostamento dei colori con i suoni musicali. Nello «Spirituale nell’arte» fa corrispondere il giallo alla tromba, l’azzurro al flauto, al violoncello, al contrabbasso e all’organo, il verde al violino. Sostiene che il rosso richiami alla mente le fanfare, il rosso cinabro la tuba o il cembalo, l’arancione una campana di suono medio o un contralto che suoni in largo; il viola suona come un corno inglese o come i bassi dei legni. Ogni colore produce quindi un effetto sull’anima. Il colore rosso può provocare sofferenza dolorosa per la sua somiglianza al sangue. Il giallo invece, per semplice associazione con il limone, comunica un’ impressione di acido. Alcuni colori possono avere un’ apparenza ruvida, pungente, mentre altri vengono sentiti come qualcosa di liscio, di vellutato. Ogni forma a sua volta, come il colore, ha una precisa corrispondenza: al cerchio si associa il blu, al triangolo il giallo, al quadrato il rosso. Kandinskij progetta la composizione di questo quadro con un acquerello preparatorio, eseguito in forma più semplice ma già perfettamente definita nelle sue parti. L’idea compositiva si basa sulla contrapposizione della parte destra con quella sinistra. Nella prima prevalgono i toni atmosferici dell’azzurro contornato dal viola: in essa si inseriscono in prevalenza segni grafici leggeri, posti secondo un ordine di armonia geometrica; nella metà di sinistra, lo sfondo è di colore giallo, che chiude lo spazio senza sfondamenti in profondità.

 


Manifesti propagandistici


Mao Tze Tung

Mao Tze Tung nato il 26 Dicembre 1893 e morto a Pechino il 9 Settembre 1976, è stato portavoce del Partito Comunista cinese dal 1943 sino al giorno della sua morte. La sua carriera politica lo vide intraprendere inizialmente il ruolo di rivoluzionario; divenne in seguito capo del governo cinese nel 1949. Eletto presidente, decise di togliere le terre ai contadini ricchi e di ridistribuirle ai contadini poveri, inoltre si impegnò perché tutti i cinesi, in larga parte analfabeti, imparassero a leggere e a scrivere.

 

A Mao vengono attribuiti la creazione di una Cina unificata e libera dalla dominazione straniera, l’intervento della Cina in Corea e l’invasione in Tibet, l’uso della repressione e dei lavori forzati, la grande carestia cinese e la violenza della rivoluzione culturale. Egli fu un dittatore molto severo, (comunemente noto in Cina come il “quattro volte grande”: grande maestro, grande capo, grande comandante supremo, grande timoniere): si stima che durante il suo governo persero la vita milioni di persone.

 

L’opera di Mao che ebbe la maggiore diffusione nel mondo moderno fu il “Libretto rosso”: sia pure per un periodo molto breve, ne furono stampate in Cina 300 milioni di copie tradotte in tutte le lingue. Il titolo originale dell’opera fu “Citazioni dalle opere del presidente Mao Tze Tung” e fu costituito da un’antologia di Mao originariamente destinata all'esercito. Dal 1966, durante la Rivoluzione Culturale, in Cina divenne obbligatorio portarlo sempre con sé, infilato nella “casacca di Mao”, allora abito praticamente unico per tutti i cinesi. Era consigliato impararlo a memoria e le folle cinesi lo alzavano in alto con la mano sinistra in tutte le occasioni, gridandone brani come slogan durante le manifestazioni. Esso fu strumento della Rivoluzione Culturale o meglio Rivoluzione comunista cinese. Come i testi sacri, anche il pensiero di Mao era ritenuto in grado di risolvere tutti i problemi della vita. In Occidente non gli fu riconosciuto un tale potere, ma fu ritenuto, nell'ambito della Contestazione del ’68, una delle voci più importanti per la formazione di una società autenticamente comunista.

 

Nel 1949, a capo dell’armata comunista, Mao aveva preso il controllo di tutta la Cina. Egli stabilì quindi un regime comunista e nel 1956 lanciò la politica cosiddetta dei “CENTO FIORI”. La politica economica rischiava però di portare la Cina sulla strada del liberalismo occidentale; Mao come Stalin, tornò quindi rapidamente ad una politica di forte collettivazione, riportando la Cina sulla via effettiva del comunismo. Le conseguenze furono disastrose: milioni di cinesi morirono di fame perché non si volle ammettere il fallimento e richiedere aiuti alimentari internazionali; anzi, il disastro fu accuratamente nascosto e ancora oggi la sua entità non è del tutto chiara. Il partito cinese tentò di mettere in disparte Mao, allontanandolo dalle leve effettive del potere, pur lasciandogli intatte in apparenza autorità e prestigio.

 

Accadde allora un fatto unico nella storia: Mao si rivolse direttamente alle masse cinesi, soprattutto ai giovani, invitandoli a portare avanti una “rivoluzione culturale”, cioè un mutamento radicale della mentalità per fondare il vero comunismo. Strumento essenziale di un tale capovolgimento di mentalità sarebbe stato il pensiero di Mao presentato al popolo nella versione semplificata ma essenziale del Libretto Rosso. Tutto ciò che è tradizione della storia millenaria della Cina deve essere dimenticato, radicalmente estirpato e nullificato per ricominciare dal pensiero di Mao, fondamento di un mondo nuovo, di una società giusta umanizzante del comunismo, per un uomo nuovo e felice. Le masse dei giovanissimi credettero di poter instaurare in Cina e nel mondo la giustizia e la felicità sulla base del pensiero di Mao. Le conseguenze furono disastrose perché il crollo economico, tecnico e culturale fu inevitabile. Mao è comunque rimasto un simbolo tuttora venerato e incontestato dai cinesi.

 

Sebbene la rivoluzione culturale cinese sia durata solo una decade ha prodotto manufatti, manifesti propagandistici e creazioni in campo musicale. I lavori d’arte della rivoluzione culturale sono tesori della Cina, i manifesti furono il primo mezzo di comunicazione.

Come forma di espressione popolare, l’opera ed il balletto furono le prime arti a riflettere i cambiamenti in corso. Sotto l’influsso di Jiang Qing, moglie di Mao, videro la luce capolavori coreografici e musicali quali le opere su tema rivoluzionario contemporaneo.

 

Dopo la morte di Mao fu costruito un monumento funerario a Pechino, in piazza Tienammen che accogliesse le spoglie mortali del fondatore della Repubblica Popolare Cinese. È costituito da due piani supportati da 44 colonne ottagonali realizzate in granito. Fu eretto in soli 10 mesi grazie a 700.000 volontari che utilizzarono materiali provenienti da tutto il paese. 

 

Vi sono inoltre due sculture a simboleggiare l’unità del popolo e l’esercito che combatte per il comunismo. Le sculture a nord del mausoleo raffigurano le scene della rivoluzione e alcuni dei grandi successi del popolo cinese sotto la guida del presidente Mao. Il monumento vicino è dedicato agli Eroi del popolo. Il Presidente Mao è in stato “dormiente” in una bara di cristallo nella sala principale.

Il volto di Mao però, negli anni non è stato associato unicamente alle sue ideologie politiche: Mao Tze Tung è diventato anche un’icona della POP Art che nasceva proprio durante gli anni del suo potere. 

Il volto di Mao però, negli anni non è stato associato unicamente alle sue ideologie politiche: Mao Tze Tung è diventato anche un’icona della POP Art che nasceva proprio durante gli anni del suo potere. Nel 1973, Andy Warhol decise di dedicare una delle sue serigrafie proprio al dittatore cinese: partendo da un’immagine tratta dal famoso Libretto Rosso dello stesso Mao, Warhol sviluppò una serie di serigrafie colorate. Nonostante la ripetizione, ogni opera diventa un’entità autonoma, grazie all'uso di colori tanto diversi tra loro che alterano il volto e l’espressione del personaggio, caricandolo ogni volta di una emotività diversa. L’intento di Warhol era quello di criticare, agendo all'opposto, la mancanza di creatività che sembrava emergere dalla società cinese dell’epoca. Dopo Andy Warhol sono stati più di centosettanta gli artisti contemporanei ad utilizzare il volto di Mao in numerosissime opere con diversi supporti: ceramiche, manifesti, abiti, ma anche sculture e oggetti di collezione.